giovedì 8 settembre 2011


piano-soppressione (sequenza)

crederci che, se io te lo dicessi, qualcosa muoverebbe da dov'è, l'aria come quella di chi è appena sceso da un treno per passare dal lato destro della notte, di due, anzi, a tentoni, su tre, per quello che rimane visibile, per tutto questo sporco che rimane.

l'accompagnatore non ci sta ancora. entra in un posto che ha una porta, addosso una patina, la cellulosa che si brucia: riattaccare dal visibile, l'equilibrio tra il buio e la luce, la prevalenza di. si accende una sigaretta, ha fastidio.

si ammala. l'odore chimico, la pelle che si arrossa, non viene da, non si è capito bene dove accade: i metri di pellicola che scorrono, ta-ta ta-ta ta-ta-ta ta-ta. è banale, lo fanno davvero il controtempo per proseguire, andare avanti se si può.

credendo, la nozione di anti-trust in un riquadro informativo, pagina otto del giornale. credere che prima poi io ti dica che, anche se qualcosa si muoverà: di strada secca, di terra, da lontano, visuale come distanza, piano immobile da accogliere in silenzio.

si vede piuttosto bene, lì in fondo, stavolta è il silenzio che si accoglie, le ordinazioni impilate sul bancone, riparano. mute. il loro ripostiglio, dove si nascondono, e poi chi le vede. si ammala. lì, ora, penso davvero che non ci crederesti se io dicessi, dicessi che.

si secca la gola. è una cosa che non puoi vedere. ha già visto il proprio posto, l'angolo refrattario. si mette a vagare, i passi se ne vanno in giro, fanno semicerchio. passa il proprio tempo tra l'ingresso del bar e il fianco sinistro dell'auto, andando avanti e indietro.

entra dopo qualche ora. vedo che si appoggia al centro dell'inquadratura, aggiusto e la riporto a destra. è composta. i pantaloni le tirano un poco sulle ginocchia: non fa niente di organizzato, è breve. se io te lo dicessi, alla fine, ma non per scherzo, invocandoti.

le scarpe strisciano, sporgono appena dallo stipite. il rumore non si sente, troppo lontano, eppure lei gira, gira, mancando il centro. è l'ombra che se ne sta da sola. l'impazienza ha fatto qualche varco intanto: trema un po', tira i nervi dentro, in tempo, aspetta.

la valuta ha lasciato soltanto i centesimi, piccoli, piano, più piano. brillano, se qualcuno li guarda. niente. cosa diresti se, a un certo punto, uscisse di scena. e passa, passando si stira, appoggia le scarpe contro il muro, inavvertitamente, ma non si vede.

si ammala. una vecchiaia diffusa delle cose, diffusa nelle cose. il vestito che a poco a poco sdrucito, la parola che inizia a, non pensare che si senta per davvero. c'è da dirla. quella che inizia facendo a, non finisce. e non finisce. si siede lì, sul versante opposto.

adesso esce dal campo, adesso ricompare. una scena che si gira sempre da capo, che deve essere ripetuta.

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