lunedì 6 febbraio 2012


ricognizione del dolore (accoppia e incolla, rinvenimenti, cose prese pari pari e schiaffate qui, II)

Evento estremo ed ineluttabile dell’esistenza stessa, di cui rappresenta il lato oscuro, la morte, come nascita, matrimonio e tutte le date socialmente rilevanti, del resto, ha necessità di essere comunicata.

Il motivo è evidente a tutti coloro che, all'oscuro di un lutto appena accaduto anche solo in un’occasione si siano trovati a chiedere ad un conoscente “e mamma come sta, sempre una roccia”, oppure ad inviare corrispondenza alla gentile attenzione di soggetti, nel frattempo passati, da questa valle di lacrime al mistero dell’oltremondo.
Diffondere il mesto messaggio nei piccoli centri è di solito facile e diretto: gli annunci affissi lungo le strade, infatti, si leggono più che sui giornali, grazie alla loro immediatezza. Nelle grandi metropoli, invece, non resta che affidarsi ai quotidiani.Per ottenere un risultato pregevole e di buon gusto però, è indispensabile essere sobri e sintetici. Un necrologio non è un’orazione funebre, un testamento spirituale del defunto né tanto meno il ritratto del suo profilo morale, ma è solo l’informazione su di un decesso.
Questo documento rientra quindi nella categoria della “pubblicità notizia”, siccome è semplicemente un avviso, rivolto alla cittadinanza che c’ informa di una scomparsa.
In linea di massima sono sufficienti nome e cognome + luogo di morte e specificazione del soggetto che annuncia il mesto evento, il di più, secondo il sommo detto evangelico viene dal maligno (o dal cattivo gusto)
Il giorno 8 febbraio 1998 si è spenta
(serenamente/dopo lunga malattia)(La contessa, Prof. Avv… Et similiaCarlotta Isabella Necrofora Serbelloni Mazzanti Vien dal Tumulo (tuttologa, gufologa, poetessa macabra ed entreneuse al bar dell’angolo). Ne danno (la triste/dolorosa) notizia (annuncio) il consorte (marito) (inconsolabile/costernato)ed i figli (in lutto).
I termini “esequie” e “funerali” sono “pluralia tantum” ossia vocaboli derivati direttamente dalla lingua latina che esigono sempre la forma plurale, quindi non si dirà mai il funerale e l’esequia, bensì “I FUNERALI” e “LE ESEQUIE”
É buona norma riportare i dati della persona scomparsa in quest’ordine:
titolo accademico o nobiliare+ nome di battesimo+ cognome.
La consuetudine burocratica di anteporre il cognome al nome riesce oltremodo dozzinale ed inelegante, perché è tipica di un ambiente troppo spersonalizzato e tecnico, come appunto l’ambito amministrativo.
Il necrologio non è un atto di citazione in tribunale e nemmeno un freddo certificato redatto all’anagrafe, quindi, è meglio non ricorrere ad un uso gergale della lingua tipico di un commissariato di polizia, assieme a formule in stile pagine gialle di questo tipo:
Riccardelli, Dott. Ing. Gran Duca Guidobaldo Maria.
Se i famigliari del defunto, per celebrare i meriti del loro caro scomparso, voglio apporre a fianco del nome le onorificenze o i titoli conseguiti dal de cuius si opterà per di più alto rango o in ogni caso più sentito come intimo dal defunto.
Risulta, infatti, piuttosto pacchiano introdurre il nominativo della “cara salma” con una sequela interminabile di aggettivi ed appellativi di questo genere:
Illustrissimo, nonché Chiarissimo Onorevole e già Senatore Repubblicano del Regno d’Italia (??!), nonchè Professor Dottore Ingegnere, Cavaliere dell’acqua calda, non di meno Gran Farabutto, Ladrone di Stato ed in ultimo amatissimo Presidente della società calcistica Borgorosso football club + (finalmente) nome e cognome.
Forse la morte, nella folle competizione che caratterizza i rapporti sociali dell’era contemporanea, rappresenta davvero uno dei pochi momenti davvero democratici (nell’attesa del Giudizio Universale) della nostra esistenza, perché riguarda tutti, nobili o popolani, ricchi o squattrinati, studenti e docenti come spesso ci ricordano gli inquietanti affreschi della danza macabra.
É allora inutile infarcire i necrologi con simili corredi di titoli così barocchi.
Se la cerimonia di commiato prevede una sosta in parrocchia o nella cappella delle camere ardenti per la liturgia eucaristica in suffragio si scriverà, con precisione, nel necrologio, che la Santa Messa o la Liturgia Eucaristica sarà officiata o, ancor meglio, celebrata nella chiesa di XYZ. Altre formule di dubbia legittimità, invece, sono altamente sconsigliate. In altri casi (rito della “levata”, semplice preghiera al cimitero, funerale civile o d’altra confessione religiosa si ricorrerà ad una formula più vaga e generale come:
- “la liturgia funebre (o esequiale), la triste (o mesta) cerimonia, il rito funebre, la funzione funebre, l’ultimo (estremo) saluto, il commiato, i funerali, la commemorazione
Si terrà (avrà luogo)…
Tecnicamente non sarebbe sbagliato definire la Santa Messa o la cerimonia anche come “funzione funebre" (o religiosa), si tratta, infatti, di un’espressione più generale, di registro molto elegante, che comprende i diversi significati del termine “rito” ed è mutuata direttamente dalla terminologia ecclesiastica.
L’impresario di successo dovrà dimostrare di saper padroneggiare perfettamente questa terminologia così specifica, consigliando ai dolenti la formula più appropriata.
In caso d’esequie laiche si potrà ragionare, più compiutamente, di “servizio funebre”.
Se il funerale su svolgerà secondo il rito cristiano ortodosso non si parla mai di Santa Messa, bensì di Divina Liturgia.
La formula
“munito (o munita) dei conforti religiosi”
è legittima solo se al malato o al moribondo è davvero stata amministrata l’unzione degli infermi, assieme all’Eucaristia; dichiarare il falso, anche se per pietà ed in articulo mortis, non è mai segno di un animo nobile.
“S’è cristianamente addormentato”
è frase da utilizzare solo in caso di un defunto che, in vita, si sia distinto per una fervida fede o per opere di carità.
Stilemi quali:
“E’ tornato/a alla casa del Padre” oppure: “Si è addormentato nel bacio (o abbraccio) del Signore” ed in ultimo: “Ha chiuso la sua giornata (missione) terrena"
sono da limitare, preferibilmente, alle esequie di prelati e religiosi o, comunque, di persone, anche se laiche, caratterizzate, in vita, da una granitica fiducia nella cristiana speranza della vita eterna. Un’espressione simile, anche se più laica, è da ravvisare nella frase:
“ha terminato la propria esperienza terrena”perché l’allusione alla vita eterna è senza dubbio maggiormente sfumata e lascia adito anche ad interpretazioni più secolarizzate o disilluse.
La creatività letteraria dell’italica intelligenza, per una strana ragione, davanti ad un funerale non resiste, si scatena, rompe impetuosa gli argini del buon gusto e dilaga, spesso, su orribili, manifesti stampati con la complicità delle stesse imprese funebri.
Ecco un breve elenco degli stereotipi letterari o retorici assolutamente da rigettare:
1. Nipotini innocenti, ma mal consigliati dai genitori, che sbandierano la loro incrollabile certezza di riunirsi un giorno, lassù, con l’adorato nonno, su cirri vaporosi e candide nubi rosa degni del pennello dei maestri rinascimentali.
2. Signori che apprendono della morte di qualcuno “prima increduli e poi arrabbiati”. E ovviamente non si contano i “costernati”, gli “affranti”, e gli sconvolti (di vascorossiana memoria?). 
3. Campeggiano, poi, bellamente sulle pagine dei quotidiani le espressioni pacchiane di coloro che “chinano mestamente la cervice di fronte ad un decreto superiore e inappellabile”. (…)
4. Ci sono, poi, parenti ottimisti e indovini, nonché profondi conoscitori delle divine decisioni che invadono le cronache mortuarie, perchè sanno benissimo come, nel regno celeste, l’anima proba del diletto congiunto Guidobaldo Maria sia finalmente felice: e sorrida loro per sempre dalle vette celesti. Simili dichiarazioni così impegnative risultano forzature anche sul piano dottrinario. Solo in caso di bimbi, deceduti dopo il Santo Battesimo, è ammissibile questa certezza, supportata anche da argomentazioni teologiche. Per un neonato, sulla lapide o sul ricordino, si potrebbe addirittura apporre solo la data del giorno in cui è stato amministrato il sacramento del Battesimo.
5. Vi sono sterminate schiere di persone (…) che, pur non avendo alcun legame di parentela col defunto partecipano tuttavia della sua dipartita come se fossero il coniuge o il congiunto più stretto rimasto. Errore di bon ton: se non si è parenti si partecipa, se mai, al dolore della famiglia per il lutto, ma nulla di più.
Chi si accosti alla delicatissima arte dell’intessere elogi funebri, insomma, ricordi l’antico brocardo latino: “verba volant, scripta manent” ovvero la parola scritta è assai più difficile e compromettente rispetto al più volatile messaggio verbale.
Il necrologio ideale è dettato da eleganza e squisita compostezza, sono allora da evitare eccessive e spericolate licenze stilistiche, come commozioni esagerate e sentimenti gridati. Il necrologio è pur sempre l’ultimo saluto, non conviene allora degradarlo ad estrema buffonata per opera d’improbabili e sgraziati lirici. Nota della redazione: i nomi riportati negli esempi sono completamente frutto di invenzione, qualsiasi omonimia o riferimento diretto a persone reali è da ritenersi puramente casuale.

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Nota a margine: De cuius è una formula tipica del linguaggio “giuridichese” ormai assorbita dalla parlata quotidiana, alla lettera significa: persona della cui successione testamentaria si parla.

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