giovedì 26 aprile 2012


novae: 1, 2 (2012)


potrei restare lontano dal luogo dell’osservazione, non farne mai più
parola per la parte in ombra con nessuno, valutare le distanze con occhi
abituati all’ipotetica esplosione, precedere come si procede fra variabili
e cautele, prossimità al collasso, ripassando il bordo già combusto
di ogni cosa vista e che si vive, simularne il pianto accelerato,
il suono ad ogni suo intervallo: guardo però a cosa rimane, se non ho
più nulla da ricordare oltre al rilascio di vestiti che sanno
solo di ciò che è ieri e che non torna, che sono lontani, sempre,
non riuscendo a variare il moto, il centro del battito, il ritmo
di ogni superficie, l'idea di corrispondere alle cose che si fanno
con le mani, quando è il caos a fare parte di parole indotte,
imposte dall'ambiente, dette o magari percepite,
appena ribattute sulla pellicola del mondo.


*

ìndico la causa del fenomeno, penso a ciò che non potrai più vedere
o salvare nella memoria docile degli altri, tenuta a parte, radente
al solco che non resta sul periodo corto degli anni che dimentichi
come si fa con tutto almeno una volta nell’esistere, riattivati al tatto
di una luce che arriva se percorre la materia, raggiunge terra,
urta la percezione esposta al flusso dei rovesci e degli incroci,
marea che scatta al suo passante, lo scavalca mentre varca il limbo
delle icone, il magnetismo di tutto ciò che si attraversa: indìco
cause e prove, fissazioni, tento di capire se è qui ed ora il lembo
del transito o se è il cervello la massa organizzata di quel no,
non posso, mi dispiace, l'impressione dell'ombra che fa muro
contro muro alla distanza, la scelta di una media percorrenza:
siamo ancora da spostare fuori dallo scoppio se interviene
in noi lo scavo, l'estensione chiusa e muta dentro l'orbita.

Nessun commento:

Posta un commento