venerdì 10 agosto 2012


daniele bellomi - s.n.r. (ii) (2012)


volta, se è ciò che si organizza ad arrivare nell’altrove.
giunge finalmente alla propria luce, raggiunge il livello 
superiore di un conflitto non ancora combattuto, distanza 
ancora in corso fra le parti, e poi percorsa nel quadro 
generale di una perdita avvenuta, in corpo, nelle masse 
che stendono incroci sulla pelle, tessuto che si somma 
al tempo, scopre la cassa e torna nella mente, certifica
un modo univoco per darsi colpe, tornare, poi mortificare 
il tutto quando è a terra, dichiarato irraggiungibile. resta
in movimento, sa bene che non può più verificarsi, lasciare
campo alla frequenza, ai varchi fatti al τέμενος dei capi 
o dei regnanti, il vertice scoperti delle valli, del rift, a fossa, 
nel forse che è una minima porzione, che chiede la propria
buca come segno di un vuoto impermanente, che insidia 
fino al dubbio, all'argine che infossa il termine, il fatto 
esatto e cellulare che propone il divenire delle nascite,
le ripropone in tagli, rese semplici, più forti e nelle mani. 
sulle due volte qualcuno può lasciare, sulla terza poco 
meno che venire in nota, in centro a ciò che è costellato, 
preso se è centrale, consegna all’idrogeno, identificazione  
di un problema nel percorso dentro ai nervi, potendo
collassare dentro ai parsec. il corso è interazione, luce
che ricorda un mondo regolare, che appena l'attraversa

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