giovedì 2 aprile 2015


listening to a killer's mind, 3


sa, e ripara i pannelli di luce: la corona, il sangue. dalla linea bianca
del costato vuota il figlio, lo vomita a ritroso, diserta il segnale, l’input
concordato che può solo andarsene al macello e lo riceve altrove:
è che si è nascosto per connettersi. al cambio di marea ne espianta
i led: pensa al fatto che è di luce, il nessuno. una virgola soltanto
lo rimanda al benchmark andato una volta sola più in alto, integra
il cerchio all’ultimo aggettivo. il rapporto master/slave congela
l’interfaccia al suo ritorno umano, il blue screen of death una volta
tanto divenuto vero, tornato ad investire capitale, a fare casting,
nel lancio di incantesimi a ciclo continuato. uno si sacrifica, l'altro
finisce ugualmente per morire, lascia il prossimo come se stesse
dentro un carcere o nel centro dati, e non ne sa spiegare il come,
al prossimo suo come se stesso. dal retro dei monitor riesce a fare
una magia, a domare la terra, il codice, le stringhe: allaccia a caso
la sua idea di domazione, cioè non di dominare, ma di fare domus,
o casa, al meglio. la stagione non cambia, è tempo appena spaziato,
a ricordargli che la lettera di chi gli ha dato luce, e violenza, brucia
a fuoco alto, in camere di esempio e di cattura. il soggetto cessa
la sua marcia, vira nelle fiamme mano a mano, nel campo intuisce
la battaglia, si prende sul serio, corre e tira, segna, fa scala reale.